Ashtanga Yoga e contaminazioni occidentali
- Francesca d'Errico
- 3 mar 2024
- Tempo di lettura: 3 min
Non è un mistero che oggi siano moltissimi gli insegnanti che approcciano la pratica dell'Ashtanga Yoga modificandola, contaminandola con altre pratiche, aggiungendo o togliendo Asana e transizioni.
Ma possiamo ancora parlare di pratica "tradizionale", e soprattutto, cosa intendiamo per tradizione?
Le sequenze dell'Ashtanga Yoga sono passate attraverso i secoli non senza significativi cambiamenti. La pratica sviluppata inizialmente da Sri T. Krishnamacharya è stata da lui stesso prima, e dai suoi allievi poi, modificata in molti modi. Il numero dei Surya Namaskara (i saluti al sole) sono aumentati nel tempo. Le posizioni in piedi inizialmente non prevedevano Parsvakonasana B, o Utthita Hasta Padangustasana, almeno non nell'ordine che conosciamo. Elementi come verticali e transizioni più acrobatiche sono stati introdotti negli ultimi decenni. In poche parole, la pratica si è evoluta, e i cambiamenti non sono ascrivibili solo ai guru che l'hanno trasmessa, ma anche al rapporto che questi guru e la pratica hanno avuto con un numero sempre crescente di praticanti occidentali, sia attraverso le visite di questi praticanti a Mysore, che attraverso i viaggi della famiglia Jois in Occidente.

Un aspetto che ha condizionato in modo molto positivo la pratica è la maggiore consapevolezza dell'importanza di conoscere a fondo l'anatomia del corpo umano applicata al movimento. Per molto tempo, la visione occidentale della biomeccanica del corpo è stata ignorata da moltissimi insegnanti di Yoga. Lo Yoga è stato a lungo vissuto come una pratica quasi esoterica, come se si potesse prescindere dal buon senso nel muovere i corpi di persone anche completamente prive di una educazione fisica di base, affidandosi a concetti come "blocco energetico" quando semplicemente ci si trovava in presenza di una condizione anatomica poco propensa a determinate esecuzioni, o peggio "apertura" quando il malcapitato subiva un infortunio. Il capitolo degli aggiustamenti manuali poco ortodossi per "chiudere" o approfondire un asana meriterebbe un lungo post a parte, ma fortunatamente oggi sono quasi ovunque un lontano ricordo, poiché alla manualità dell'insegnante sull'allievo vengono dedicati interi seminari di formazione, spesso coadiuvati dall'intervento di fisioterapisti o esperti di anatomia.
Questa maggiore consapevolezza ha cambiato anche il modo di insegnare ai principianti, ha contribuito ad aprire maggiori opzioni per praticanti con disabilità, o con problematiche specifiche, o più semplicemente di età avanzata, con infortuni pregressi, e così via. Ha inoltre contribuito all'evoluzione del rapporto tra insegnante e allievo. Quando ho iniziato a praticare, nel 1998, l'insegnante sembrava trasmettere la pratica da un pulpito, e non era facile per il praticante esprimere un proprio disagio o una difficoltà. Le risposte erano solitamente molto criptiche: "non stai usando i bandha" era una delle più frequenti, a cui molto raramente seguiva una spiegazione esauriente di cosa fossero questi benedetti bandha!
Oggi, fortunatamente, il praticante ha maggiori strumenti per mantenere il proprio spirito critico, e per scegliere in modo più informato quale insegnante e quale percorso seguire.
Credo personalmente che le tradizioni chiuse all'evoluzione tendano a produrre situazioni poco felici, e ci sono esempi molto più noti dell'Ashtanga Yoga. Approfittare di nuove conoscenze per migliorare e migliorarsi non toglie nulla alla magia della pratica, anzi la rende ancora più ricca di benefici per un numero sempre maggiore di persone.
Diverso è il caso quando ad elementi tradizionali della pratica come la recitazione dei mantra e il silenzio durante la sua esecuzione, vengono aggiunte "suppellettili" inutili, come musiche più o meno assordanti, che rendono impossibile la concentrazione sul respiro e sul proprio ritmo, o elementi ginnici più attinenti al fitness (come piccoli pesi, elastici etc.). In questo caso vengono a cadere alcuni dei pilastri della pratica, e non possiamo parlare di evoluzione ma di personale interpretazione - in sostanza, non possiamo più parlare di Ashtanga Yoga ma di "altro", sulla cui validità non saprei esprimermi. Nella mia modesta opinione, quando vengono a cadere gli elementi fondamentali della pratica - la connessione tra respiro e movimento, la concentrazione, il silenzio, le modalità di insegnamento (classe Mysore o guidata), la contaminazione sconfina nella libera interpretazione, e forse sarebbe il caso di non utilizzare la definizione di Ashtanga Yoga per ciò che si insegna.
Ovviamente questo è solo il mio pensiero, e sarei felice di conoscere il vostro.
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